Derivazioni in parallelo
Rete di distribuzione
Fig. 1: Diagramma di rete d’accesso con decade derivata.
Nella rete di distribuzione secondaria Telecomitalia le derivazioni in parallelo (bridge tap) identificano due o più decadi, attestate rispettivamente su due o più distributori, cui in armadio corrisponde un’unica decade.
Nell’esempio di fig. 1 dall’armadio si diparte un cavo da quaranta coppie, suddivise nelle decadi numero 10/11/12/13: tramite cavi di portata inferiore tre decadi sono attestate su un distributore ognuna, quindi in maniera diretta ed esclusiva, la restante (numero 10) è condivisa, ovvero sfioccata ai giunti (in rosso) e derivata su tutti e tre i distributori, quindi in triplo parallelo. Questa topologia garantisce una maggiore elasticità ed efficienza della rete, poiché ciascun distributore può fornire in maniera dinamica fino ad un massimo di venti accessi, impegnando in armadio soltanto le quaranta coppie iniziali.
Le decadi parallele sono distinte da un suffisso progressivo affiancato alla numerazione: D1, D2, D3 etc etc… oppure da pallini: °, °°, °°° etc etc… Entrambe le sintassi possono essere utilizzate nell’etichetta apposta sui distributori.
Rete domestica
Fig. 2: Alcune tipologie di rete telefonica domestica.
Le situazioni forse più comuni di derivazioni sono presenti negli impianti interni delle nostre abitazioni: pensiamo a quante prese telefoniche secondarie, posate in serie o in parallelo, compongono spesso l’impianto domestico!
Conseguenze
Fig. 3 Sfruttate per ottimizzare la rete d’accesso o facilitare l’utilizzo del telefono in ambito domestico, le derivazioni di linea sono forviere di criticità nel momento in cui si decide di utilizzare le coppie per trasmettere segnalexDSL, caratterizzato da un ampio spettro, al contrario del segnale fonia.
I tronconi di linea (detti anche stub) lasciati aperti all’altro estremo presentano una impedenza variabile sulla coppia, in funzione della frequenza e della lunghezza della derivazione stessa. L’effetto delle derivazioni in parallelo è rappresentato da riflessioni del segnale (fig. 3), che si traducono in picchi di attenuazione selettivi sulla curva di attenuazione del cavo. Questi disadattamenti di impedenza influenzano il bitrate negoziabile sul collegamento, ma non introducono ulteriori disturbi.
In particolare lo stub presenta impedenza nulla (attenuazione infinita) alla frequenza corrispondente ad un multiplo intero di l=4.
Diagnosi
La modalità più precisa ed immediata per diagnosticarne la presenza è la misurazione Hlog, disponibile in uno dei sistemi tecnici TIM in uso agli operatori, ma elaborabile anche lato utente grazie al software opensource DSLstats 1), compatibile soltanto con alcuni modelli di modem (tra cui non figurano quelli forniti da TIM).
L’Hlog è un parametro vettoriale (cioè con valori riferiti ad ogni singolo tono) che rappresenta il valore in decibel della funzione di trasferimento del canale (che è anche l’attenuazione della tratta in rame) alla frequenza di ogni portante, misurato durante la fase di inizializzazione. È ottenuto come differenza in decibel tra la PSD (Power Spectral Density) di segnale ricevuta e quella trasmessa, tenendo conto che in questa fase si usano segnali a livelli noti (segnale Reverb). È calcolato a gruppi di portanti (8).
Dal grafico della misurazione non possiamo evincere la posizione assoluta della derivazione in parallelo sul cavo, ma grazie alle riflessioni provocate possiamo risalire alla lunghezza pressoché esatta dello stub.
Un po’ di fisica
Fig. 4 Interpretiamo le misurazioni Hlog con l’ausilio di alcuni grafici esemplificativi.
Il primo avvallamento del grafico in fig. 4 corrisponde ad una intensa attenuazione di segnale dovuta ad un primo crollo dell’impedenza sullo stub in corrispondenza di questa prima frequenza. Invece in corrispondenza della prima gobba (prima armonica pari) il segnale in linea non viene influenzato dallo stub, poiché l’impedenza di quest’ultimo risulta massima: la tensione alternata che rimbalza sull’estremità aperta della derivazione, ritorna in lineaperfettamente in fase. In corrispondenza della prima armonica dispari (il secondo avvallamento), il segnale in linea subisce una forte attenuazione dovuta ad un secondo crollo dell’impedenza sullo stub: la tensione alternata che rimbalza sull’estremità aperta della derivazione, ritorna in linea in totale controfase, e così via: il crollo dell’impedenza sullo stub è una conseguenza del ritorno in controfase del segnale, che cancella il segnale diretto.
L’azzeramento del segnale avviene alle frequenze per le quali il doppio ritardo dello stub (nel momento in cui il segnale lo percorre in andata e ritorno) crea un ritardo di fase di 180+n360 gradi: ciò spiega i diversi “buchi” a frequenze f, 3f, 5f etc etc…
Di regola il primo picco è sempre il più profondo, mentre i successivi minimi decrescono all’aumentare della frequenza, poiché il segnale riflesso diminuisce con l’aumento di attenuazione in frequenza del cavo della derivazione.
Fig. 5
Comportamenti analoghi in fig. 5, ove si notano le differenze tra lunghezze diverse di tre stub: derivazioni corte generano riflessioni rare ma profonde, derivazioni lunghe generano riflessioni frequenti ma meno profonde.
Fig. 6 Finora gli esempi hanno riguardato situazioni con presenza di unico stub, ma sappiamo che gli impianti telefonici domestici spesso sono composti anche da due o più stub:
In fig. 6 è visualizzato l’effetto di due derivazioni in parallelo sulla stessa linea. In questa fattispecie le attenuazioni introdotte si sommano, per distinguerle è necessario identificare il primo picco di ognuna: nel caso dello stub lungo 17 metri si trova a 2900 kHz, nel caso dello stub da 6 metri si trova a 8300 kHz.
Un po’ di matematica
Per la stima della lunghezza delle derivazioni su base Hlog possiamo utilizzare la formula seguente, assumendo, per comodità di calcolo, che la velocità di propagazione del segnale su rame sia pari a 2/3 di quella della luce, ovvero 200.000 km/s (200.000.000 m/s):
Lunghezza della derivazione = (velocità di propagazione/frequenza del primo minimo)/4.
Rifacendoci alla fig. 4 (primo minimo a circa 2.900 kHz) otteniamo (200.000/2.900)/4 = 17, pertanto la derivazione presente è lunga 17 metri.
Questo calcolo empirico non consente di localizzare con certezza la terminazione della derivazione, ma in prima battuta aiuta a discriminare: una derivazione di qualche decina o centinaia di metri non potrà che risiedere sulla rete esterna, laddove una derivazione di alcuni metri sarà con tutta probabilità relativa all’impianto domestico.
Nonostante il metodo indicato sia il più affidabile, è giusto precisare che è possibile risalire alla lunghezza dello stub anche in altro modo:
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Dividendo la velocità di propagazione del segnale per la frequenza della prima “gobba” (nell’esempio in fig. 4 circa 5800 kHz), e successivamente dividere tutto per 2. In questo caso: (200.000/5800)/2 = 17
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Dividendo la velocità di propagazione del segnale per la frequenza della seconda “gobba” (nell’esempio circa 11600 kHz). In questo caso: 200.000/11600 = 17
Calcolare la lunghezza dello stub basandosi sul primo minimo è consigliabile in virtù del fatto che ha un picco più “definito” e di conseguenza la frequenza di interesse sarà individuabile più facilmente, relegando le altre formule ai casi in cui il primo minimo fosse impossibile da distinguere.
Liscia, gassata, o…?
A questo punto la domanda nasce spontanea: il bitrate finale è maggiormente influenzato da stub corti, medi o lunghi?!?
Dipende dalla tecnologia in uso: in ADSL(2+) una diramazione corta, a differenza di una lunga, non crea vuoti di attenuazione sulle frequenze in esercizio; in VDSL2 (in particolar modo con profilo 17a) la perdita alle alte frequenze è inversamente proporzionale alla lunghezza della diramazione, anche se la perdita è distribuita su gran parte delle frequenze.
I grafici Hlog analizzati nel precedente paragrafo si fermano a 17,5 MHz, ma per completare il concetto dobbiamo immaginare anche i successivi abbattimenti, in corrispondenza delle frequenze *3, *5, *7, etc. etc.
Per farci un’idea utilizziamo la prima frequenza abbattuta, e per calcolarla il numero approssimato fisso da utilizzare è 50:
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Con stub lungo 1 metro, la prima frequenza abbattuta corrisponde a: 50 / 1 = 50 MHz. Nessuna VDSL (tanto meno ADSL) ne risentirebbe in maniera apprezzabile, neppure con profilo 30a
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Con stub lungo 3 metri, la prima frequenza abbattuta corrisponde a: 50 / 3 = 16,7 MHz. Ne risentirebbe la VDSL 30a e le ultime frequenze della 17a.
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Con stub lungo 10 metri, la prima frequenza abbattuta corrisponde a: 50 / 10 = 5 MHz. Ne risentirebbero la VDSL 8b (1 punto), la 17a (2 punti) e la 30a (3 punti).
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Con stub lungo 30 metri, la prima frequenza abbattuta corrisponde a: 50 / 30 = 1,67 MHz. Ne risentirebbero la ADSL2+ (1 punto), la VDSL 8b (2 punti), la 17a (5 punti) e la 30a (diversi punti).
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Con stub lungo 100 metri, la prima frequenza abbattuta corrisponde a: 50 / 100 = 500 kHz. Ne risentirebbero la ADSL1 (1 punto), la ADSL2+ (2 punti), la VDSL 8b (8 punti), la 17a (diversi punti) e la 30a (troppi punti!)
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etc etc…
Ne consegue che per incidere su ADSL(2+) occorrono stub con estensione nello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda di tali modulazioni.
Quando il gioco si fa duro…
Fig. 7: Linea con tre stub… i duri iniziano a calcolare!
Sulla base di quanto esposto fino ad ora, siamo in grado di interpretare anche grafici più complessi, come quello in fig. 7 (no, non è un elettrocardiogramma ), risultato di una simulazione matematica2) che rappresentata una linea con tre derivazioni in parallelo: una in rete secondaria (distributore derivato) e due nell’impianto domestico (prese secondarie). Può sembrare uno scenario estremo, ma non è raro nella realtà.
Possiamo individuare tutte le derivazioni in base al primo minimo di ognuna:
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analisi primo stub
Il primo minimo è a circa 600 kHz e di conseguenza il secondo a 600*3 = 1800 kHz. Il terzo minimo è a 600*5 = 3000 kHz. Il quarto è a 600*7 = 4200 kHz. Il quinto a 600*9 = 5400 kHz. Il sesto a 600*11 = 6600 kHz, etc etc…
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analisi secondo stub
Il primo minimo è rilevabile a circa 1200 kHz e di conseguenza il secondo a 1200*3 = 3600 kHz. Il terzo a 1200*5 = 6000 kHz. Il quarto a 1200*7 = 8400 kHz. Il quinto a 1200*9 = 10800 kHz. Il sesto a 1200*11 = 13200 kHz, etc etc…
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analisi terzo stub
Spicca il primo minimo a 4100 kHz e di conseguenza il secondo a 4100*3 = 12300 kHz. Il terzo minimo è a 4100*5 = 20500 kHz, oltre lo spettro di frequenze utilizzate.
Si noti che in queste condizioni non è possibile osservare tutti i minimi di ogni stub, poiché, essendo sovrapposti, la riflessione che genera il picco maggiore, “cancella” le altre con picchi minori.
Una volta individuati i primi minimi per ogni frequenza (primo stub 600 kHz, secondo stub 1200 kHz, terzo stub 4100 kHz) possiamo ricavare la lunghezza delle derivazioni:
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(200000/600)/4 = primo stub 83 metri
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(200000/1200)/4 = secondo stub 41 metri
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(200000/4100)/4 = terzo stub 12 metri
Terminare o non terminare?
Per eliminare quei picchi di attenuazione che possono causare vasta perdita di bit sulle portanti interessate, le possibilità sono: eliminare la derivazione oppure terminare lo stub sulla sua impedenza caratteristica.
Fig. 8: Circuito equivalente.
Abbiamo chiarito che i vuoti nella risposta in frequenza dipendono dal segnale in uscita riflesso, a causa dello stub non terminato, che si somma in controfase al segnale in ingresso.
Qual è il significato di linea non terminata? Cosa significa che una linea non è chiusa sulla sua impedenza caratteristica? Ed ancora, cosa è l’impedenza caratteristica di una linea ( detta Z0)?
Per definizione il parametro Z0 di una linea con proprie caratteristiche è l’impedenza di una ipotetica linea con parametri analoghi e lunghezza infinita, poiché una data linea ha caratteristiche specifiche cosiddette “distribuite”, principalmente induttanze in serie e capacità in parallelo sempre uguali per ogni unità di lunghezza.
In effetti se volessimo costruire un “simulatore” di linea per capirne il principio di funzionamento, potremmo assemblare in serie tanti microcircuiti di induttanze, equivalenti ognuna a quella di una unità reale della linea (ad esempio equivalenti ad 1 cm di linea), accoppiate in parallelo ad un condensatore: il primo microcircuito rappresenterebbe un simulatore, non molto preciso, di 1 cm di linea, ma assemblandone sempre più in cascata otteremo un risultato via via più preciso ed equivalente ad una linea reale della stessa lunghezza. Con cento circuiti avremo un decente simulatore di 1 m di linea, dopo mille un buon simulatore di 10 m, etc etc… Di fatto ogni coppia induttanza/condensatore lavora come un filtro passa basso, e dunque in uscita da ogni unità il segnale risulterebbe progressivamente più attenuato. Inoltre l’attenuazione aumenterebbe con la frequenza, al pari di una linea trasmissiva.
Supponendo inoltre che ad una certa frequenza un singolo circuito del simulatore attenui 0.1 dB, significa che dopo mille circuiti il segnale sarà attenuato di 100 dB: se lasciassimo la nostra lunga catena non terminata, riflettendo indietro fino all’ingresso il segnale residuo dovrebbe subire altri 100 dB di attenuazione, per un totale di 200 dB, ovvero con un’attenuazione tale da non riuscire pressoché più a rilevarlo.
Analizzando il segnale in ingresso di una linea non potremo più valutare, ad un certo punto, se sia terminata, aperta o chiusa in corto…e di certo il segnale riflesso non riuscirebbe a cancellare per nulla quello in ingresso, dunque non riuscirebbe a modificare il rapporto (Tensione applicata)/(Corrente assorbita), ovvero ciò su cui ci basiamo per misurarne la impedenza.
Fig. 9: Schema di una linea di trasmissione, connessa a monte con il generatore e a valle con il carico.
Si noti come viene indicata l’impedenza caratteristica della lineaSe sappiamo che la minima frequenza usata su una linea è, ad esempio, 100 kHz, possiamo considerare quest’ultima “infinita” a partire da quel valore di lunghezza per il quale, alla data frequenza, la conseguente attenuazione rende ininfluente il segnale in uscita; inoltre la medesima linea a 10 kHz attenuerebbe proporzionalmente meno, per iniziare a considerarla “infinita” il valore di lunghezza sarà più elevato: nella definizione si usa proprio il termine “infinita”, poiché deve valere anche per 0 Hz.
Quindi conoscendo la frequenza utilizzata possiamo determinare la lunghezza minima di linea, oltre la quale il segnale attenua a sufficienza da poter considerare infinita la lunghezza.
Se una linea “infinita” presenta una impedenza pari a Z0,possiamo dire che una impedenza di valore Z0 si comporta come una linea “infinita”: una linea terminata sulla sua impedenza caratteristica non riflette, poiché equivale ad un linea di lunghezza “infinita”. In altre parole, per annullare le riflessioni su una linea lunga 10 m possiamo giuntarla con infiniti metri di cavo analogo oppure aggiungere una componente che simuli una linea “infinita”, ovvero una impedenza pari alla Z0 di quel cavo: parimenti per impedire le riflessioni di una derivazione possiamo allungarla di infiniti metri (un po’ scomodo, no?!?) oppure simulare il raccordo con una linea infinita, la cosiddetta impedenza di terminazione.
Conclusioni
Quanto enunciato finora deve tenere conto di un dettaglio importante: il segnale riflesso in arrivo al giunto si divide in due parti uguali (dato che le impedenze dei due rami sono uguali), una correttamente destinata al modem, l’altra destinata a perdersi negli infiniti meandri della Z0 di terminazione (in sintesi dissipata in calore). Dunque solo metà della potenza che arriva al bivio prosegue sulla strada giusta, e questo provoca un aumento dell’attenuazione distribuito in modo omogeneo su tutte le portanti presenti sulla linea: in molti casi terminare una derivazione è più svantaggioso della derivazione stessa!!!
Si ringrazia lo staff del sito https://www.ilpuntotecnicoeadsl.com/ per la gentile concessione. Fate un salto anche da loro!
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